La laurea sta diventando un pezzo di carta inutile?

La maggior parte dei lavoratori del settore tecnologico non pensa che una laurea sia importante

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“Studia che poi avrai un futuro!”, è una frase che tutti noi abbiamo sentito decine, forse centinaia di volte nel corso delle nostre vite. E riflette un’idea che, forse, più semplice è semplicistica. Impara a fare qualcosa e poi avrai un bel lavoro. Anzi, non si tratta nemmeno di imparare qualcosa: è piuttosto una questione di titolo, diavere il pezzo di carta -altra frase che avrete sentito molto spesso.

In alcuni casi è vero: un laureato in legge finirà per fare l’avvocato e avrà un reddito alto, e lo stesso vale per un laureato in medicina. In certi casi il semplice titolo di studio di mette sulla strada giusta e ti apre le porte che vuoi attraversare. Ma ci sono altri che, anche dopo aver conseguito il titolo, faticano a costruirsi una vita.

Ed ecco perché si preferiscono taluni corsi a talaltri. Si dice che “con la cultura non si mangia”, e sono poche parole usate per convincere i giovani a imparare qualcosa di “concreto” come la medicina appunto, o la Legge, o magari l’informatica. Qualcosa che poi “ti serve”. Dietro tutto questo, soprattutto in Italia, c’è tutta un’epifania di ideologie su cui si è discusso e si discuterà ancora lungo, ma la realtà di base è semplice.

Sì perché, ammettiamolo, sono ben pochi i genitori e i nonni che spingono i rampolli a studiare per amore di conoscenza: li si manda a scuola, a faticare, per ottenere il titolo. Se poi il sistema di studio produce il più classico dei “laureati cretini”… beh pazienza, intanto il titolo ce l’hanno. L’ideale sarebbe andare a scuola e studiare qualcosa perchévuoi imparareproprio quelle cose lì. Ma non sono molti gli studenti che fanno questo tipo di scelta (e in genere sono poi quelli che hanno maggior successo dopo gli studi).

Ebbene, tra gli studi che danno “certezze” ci sono quelli del settore tecnologico. Studiare informatica o ingegneria dovrebbe essere, ancora oggi, più o meno una garanzia. Ma le cose stanno cambiando, e anche molto in fretta.

I titoli stanno a zero, basta sapere le cose

I titoli stanno a zero, basta sapere le cose

Una nuova ricerca sostiene infatti chela laurea non è più un requisito indispensabileper lavorare nel settore tecnologico, alimentando le speranze che un maggior numero di candidati possa avere successo.

Lo studio condotto dalla società di reclutamento AWS Jefferson Frank spiega che l’istruzione formale tradizionale, come la laurea, è una via d’accesso al lavoro meno affidabile di un tempo. Inoltre, i livelli di istruzione più elevati possono essere costosi da raggiungere e richiedono tempo, il che, secondo Jefferson Frank, ha portato a un “settore omogeneo e non inclusivo”.

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Il rapporto documenta anche un rapporto diFortunesecondo cui l’assorbimento dei ruoli tecnologici da parte della Gen Z è tanto basso da essere preoccupante. Con questa notizia, si spera che si possa creare un settore più inclusivo.

Serve la laurea per lavorare nel settore tech?

Lo studio, condotto su 3.000 professionisti del settore tecnologico, ha rilevato che l’atteggiamento generale nei confronti delle lauree è più morbido di quanto si pensasse in precedenza, al punto che oltre la metà (55%) dei professionisti del settore cloud ritieneche la laurea non sia una fattore importantein termini di ricerca di un ruolo.

Includendo anche i professionisti del cloud il sentimento resta forte, con solo un terzo (33%) dei professionisti convinto che una laurea sia necessaria per lavorare nel settore tecnologico in generale.

Ciononostante,solo l'1% dei partecipanti non ha conseguito una laurea,il che indica che, sebbene il sentimento generale vada nella direzione opposta, la laurea rimane una parte importante, se non vitale, del ruolo.

Il CEO di Jefferson Frank, James Lloyd-Townshend, ha spiegato che: “se la maggioranza pensa che la laurea non sia stata determinante nel loro percorso è un buon segno in termini di atteggiamento e anche di cultura aziendale, ma c’è un’ovvia contraddizione se si considera che la percentuale di professionisti senza laurea è così bassa, nel settore tech”.

In futuro, dato l’attuale divario di competenze digitali, Lloyd-Townshend ritiene che “dobbiamo assolutamente lavorare perespandere l’inclusione e l’accesso alle opportunitànello spazio tecnologico per coloro che non hanno frequentato l’università”.

In altre parole, il messaggio sembra esserevogliamo persone che sappiano fare le cose, e siamo pronti a sorvolare su dove le avete imparate, o qualcosa del genere.

Potrebbe significare che presto lauree e altri titoli cominceranno a contare meno, e potrebbe iniziare a contare ciò che le personesanno davvero.Se ciò dovesse accadere, tanti laureati potrebbero scoprirsi inadeguati ai posti che vogliono occupare, e tanti autodidatti potrebbero scoprire di avere le carte in regola per diventare professionisti anche di alto livello.

Ne scaturirebbe un periodo di caos, ma se davvero riuscissimo adare valore alla vera conoscenza e alla vera conoscenza, mettendo da parte il pezzo di carta, sarebbe una cosa bellissima. Anche e soprattutto in Italia.

Valerio Porcu è Redattore Capo e Project Manager di Techradar Italia. È da sempre ossessionato dai gadget e dagli oggetti tecnologici che cambiano la nostra vita quotidiana, e dai primi anni 2000 ha deciso di raccontarla. Oggi è un giornalista con anni di esperienza nel settore tecnologico, e ha ancora la voglia di trovare le chiavi di lettura giuste, per capire davvero in che modo la tecnologia può rendere migliore la nostra vita quotidiana.

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